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Valperga
Enrica Culasso Gastaldi


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Tertia Dometia

Un'importante raccolta di epigrafi è ospitata a Villa Gibellini, ove appaiono murate sulla superficie di un'edicola a pianta circolare protetta da una copertura in lamiera. Vi si contano venti grosse lastre in gneiss, per la maggior parte molto grezze e recanti tutte delle iscrizioni funerarie. A queste si aggiunge, appoggiata senza essere murata, una ventunesima epigrafe che, con tutta probabilità, trovò la propria sistemazione in tempi successivi alle altre.

La raccolta epigrafica si è formata in seguito al ritrovamento di una necropoli in regione Mercande, lungo la vecchia strada che da Valperga portava a Cuorgnè. I ritrovamenti avvennero a due riprese, nel 1865 e nel 1872 e portarono a un totale di ventitré epigrafi, cui dovette aggiungersi successivamente un ventiquattresimo titolo. Oggigiorno mancano dunque tre epigrafi, probabilmente andate disperse in un unico, non ben determinabile frangente.

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Aibutia Quarta

I titoli di Villa Gibellini appaiono tutti accomunati da evidenti caratteristiche esterne. Innanzitutto sono costituiti da materiale lapideo molto grezzo, estremamente scistoso e dunque esposto malauguratamente a un'azione dì sfogliamento che, in un caso almeno, ha completamente compromesso la lettura dell'iscrizione. In secondo luogo non rivelano mai una lavorazione accurata relativamente al piano d'incisione e ai caratteri paleografici, il che escluderebbe un loro passaggio in botteghe specializzate. Inoltre la forma allungata dei lastroni, con la dedica confinata nella parte superiore, suggerisce un loro utilizzo come centina con parziale interramento: di qui la loro funzione di semplici signacula denotanti il luogo di sepoltura. Anche il testo scritto fornisce indicazioni omogenee sull'ambiente di provenienza dei defunti: tutto concorre a indicare uno strato sociale solo parzialmente e faticosamente latinizzato, ancora molto dipendente dalle tradizioni locali; un mondo comunque composto sostanzialmente da uomini liberi, forse braccianti o forse piccoli proprietari, ma molto lontano dai modelli culturali latini. Lo dimostra infatti la qualità dell'onomastica e della struttura nominale, che mai riesce ad approdare al traguardo dei tria nomina (prenome, nome e cognome). Lo indica la semplicità delle formule, sempre rigorosamente limitate al solo defunto e mai plurime. Lo conferma infine l'assenza totale di qualsiasi riferimento a compiti o incombenze di carattere pubblico, solitamente dichiarati dal dedicante.

V'è ancora da osservare che gli antichi lapicidi, obbedendo a delle consuetudini strettamente locali, esprimevano dopo gli elementi onomastici gli anni del defunto: e così apprendiamo che non solo i defunti della raccolta Gibellini, ma in generale tutti i canavesani giungevano a età ragguardevoli, dichiarando frequentemente età superiori ai sessant'anni e comprensive anche di nonagenari e centenari.

Tra i titoli di Villa Gibellinì sì conservano anche le dediche funerarie di tre liberti che potrebbero suggerire qualche ulteriore indizio sulla stratigrafia sociale del territorio. Essi sono Atilia Severina Firmi l(iberta), giunta all'età di cinquantacinque anni, Masuetus Novellius C(ai) I(ibertus), che visse cinquant'anni, e Primigenia Vibia Bassi l(iberta), di ottantun anni. E' possibile su questa base ipotizzare in sito l'esistenza di alcune famiglie, gli Atilii, i Novellii, e i Vibii, titolari di migliori condizioni economiche e forse anche di un livello sociale meno periferico, come indicherebbero le più corrette caratteristiche onomastiche esibite dai loro liberti.

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Cornelia Vera

E opportuno inoltre ricordare, tra le epigrafi del gruppo, quella di Primigenia Vibia Bassi l(iberta), morta all'età di ottantun anni. Il Promis infatti ne dette una lettura completamente sbagliata, lettura che venne tuttavia adottata dal Mommsen (il quale non vide però la pietra) nella sua edizione del Corpus Inscriptionum Latinarum. Essi vi leggevano in sostanza la dedica sepolcrale di due servi delle famiglie degli Aimii e degli Avillii e furono condotti in questo clamoroso fraintendimento dalla suggestiva corrispondenza con il ponte romano di Pondel, in vai di Cogne. Qui infatti un C(aius) Avillius C(ai) f(ilius) e un C(aius) Aimus Patavinus apposero la loro dedica al compimento dell'opera nel 3 a.C. Le somiglianze onomastiche, com'è evidente, forzarono la mano al primo editore e suggerirono una possibile appartenenza, per i defunti di Valperga e per i dedicanti di Pondel, ai medesimi ambienti familiari. Le conseguenze poi che si vollero trarre sul piano storico da questo primo assunto furono di una certa importanza. Il Promis infatti osservava che la vallata di Cogne come la Val Soana sono entrambe ricche dì ferro e di rame. Supponeva inoltre che le famiglie degli Aimii e degli Avillii, attestati dall'iscrizione di Pondel, fossero interessate allo sfruttamento delle miniere nell'alta val dì Cogne, e lo fossero pure, sulla base dell'iscrizione di Valperga in cui sarebbero stati menzionati due personaggi dei medesimi gruppi familiari, allo sfruttamento delle miniere dell'alta Val Soana. Ne conseguivano dunque considerazioni importanti sul carattere economico-minerario dell'antico insediamento canavesano, importanti anche per la comprensione di alcuni dati offerti dall'epigrafia del territorio, dove la maggior parte dei dedicanti si rivelava di estrazione umile, anche se nel complesso di condizione libera. L'esistenza infatti di miniere e l'esigenza della lavorazione del metallo, favorita dai vicini corsi d'acqua, poteva convincentemente giustificare l'insediamento, allo sbocco della valle, di un villaggio di lavoratori liberi e, dunque, motivare anche il livello culturale modesto della popolazione.

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Fronto Iuncius

Senza discostarsi da questa linea d'interpretazione ritornò a distanza di anni il Barocellì che, a due riprese, mostrò dì condividere la stessa lettura dell'epigrafe dì Valperga e lo stesso commento di natura economica offerto dal Promis. Tuttavia queste considerazioni, che appaiono a prima vista estremamente suggestive, cadono di fronte a una corretta lettura dell'iscrizione. Purtroppo le condizioni della pietra appaiono oggi estremamente deteriorate: posta a terra, in un'infelice posizione lungo la linea dì scolo della collina, essa conserva solo la prima linea e parte della seconda. E possibile tuttavia integrare la lettura con la testimonianza, sufficientemente chiara, di un documento fotografico d'archivio della Soprintendenza Archeologica per il Piemonte ove senza incertezze è ravvisabile il titolo funerario di una liberta dei Vibii. Non se ne può dunque inferire nessuna deduzione di carattere storico ad eccezione dell'osservazione generale, già precedentemente avanzata, che gli individui di estrazione servile solitamente esibiscono un'onomastica maggiormente latinizzata; ciò attesterebbe i loro ripetuti contatti con un ambiente di più progredito livello culturale.

Oltre alle epigrafi provenienti dalla necropoli di regione Mercande altri titoli sono stati segnalati in passato nel territorio di Valperga, molti dei quali tuttavia appaiono oggi dispersi o inagibili all'autopsia. Ricordiamo comunque il titolo funerario di Iustus, inciso su rozza pietra fluviale, arrotondata naturalmente dall'azione di trascinamento delle acque; essa è conservata nella parete di una casa colonica in frazione Rivarotta, nascosta alla vista da uno strato d'intonaco. Ricordiamo ancora l'iscrizione di Optatus Ani f(ilius), morto all'età di venticinque anni, ora custodita presso il nuovo Museo Archeologico di Torino. Ricordiamo infine il frammento di lapide in pietra locale usato come cippo di confine in frazione Gallenga, che reca la dedica sepolcrale di un defunto (o di una defunta) giunto all'età di novant'anni.

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